Gli infermieri nella Resistenza
Pubblichiamo questo articolo scritto dalla nostra collega Giorgia Palmari:
Il 25 Aprile festeggeremo l’ Anniversario della Liberazione del nostro Paese dal Nazifascismo, per questo vogliamo qui di seguito raccontarvi di come infermieri e medici abbiano contribuito alla Resistenza avvenuta in quel periodo.
Non tutti sanno infatti quanto sia stato peculiare il ruolo svolto dalle figure sanitarie durante la seconda Guerra Mondiale. Un ferito medicato in luoghi nascosti tra le montagne, in casali demoliti e nell’anonimato. Non ci si poteva minimamente rendere conto di quanto procurare una garza, un disinfettante o una semplice siringa costasse innumerevoli rischi.
Pochi di noi sanno che nel 1944, a Bologna, sorgeva un edificio. All’interno del quale un’infermiera clandestinamente salvò la vita di molte persone: questa struttura doveva sembrare una casa abbandonata, ci si poteva accedere solo all’imbrunire e soprattutto le finestre dovevano rimanere rigorosamente chiuse, proprio per non destare sospetti.
Medici e infermieri sono stati parte integrante della storia della Resistenza italiana nei venti mesi che seguirono l’8 Settembre del 1943. I partigiani cominciarono ad organizzarsi come meglio poterono. Sempre a Bologna il Comando Unificato Militare dell’Emilia Romagna creò una vera e propria assistenza sanitaria segreta, utilizzando ospedali pubblici ma anche case private, sfruttando i contatti con le figure che vi lavoravano all’interno. Queste figure sanitarie si occupavano, mettendo a repentaglio la propria vita, di reperire materiale utile all’assistenza, agevolare gli spostamenti dei malati e, in alcuni casi, anche la fuga.
Uno dei punti cardine della professione medica è: “PRIMUM NON NUOCERE“, anzitutto non nuocere. Ma in quel contesto storico, a volte l’unica possibilità per salvare una persona era farla ammalare. Basti pensare all’infermiera caposala suor Mosna, che all’ospedale Niguarda di Milano mise a punto, insieme ad un team medico, delle terapie per far insorgere la febbre. Addirittura fece medicazioni su arti sani pur di non far deportare i malati dai militari. Nelle carceri di San Vittore, il dottor Gatti iniettò il vaccino antitifico in modo da provocare i sintomi della patologia stessa. C’è chi si inventò un morbo, è il caso del morbo di K, passato alla storia per opera della mente arguta del dottor Giovanni Borromeo. Il quale sapendo che non avrebbe potuto arrestare l’ingresso dei militari tedeschi in ospedale, elaborò questa malattia fittizia spacciandola per gravissima e altamente virulenta, questo significò la libertà di centinaia di ebrei. È doveroso ricordare che molte di queste figure hanno sacrificato la loro vita per il loro senso del dovere e di moralità, ed è da lì che il giuramento di Ippocrate si arricchì di nuovi valori, sfaccettature e, perché no, di contraddizioni.
Il 25 Aprile rappresenta un inno a chi ha combattuto duramente, anche perdendo il bene più prezioso quale la vita, per tutti quei principi che fonderanno poi la Costituzione. Come non poter fare un paragone volgendo lo sguardo a chi, in questi giorni, ha e sta rischiando quotidianamente la propria incolumità combattendo contro un nemico invisibile, che da un anno a questa parte semina terrore, sofferenza e morte. La voglia ed il dovere di lottare, di fare sempre meglio, mettendo in campo tutte le nostre abilità e competenze, di non fermarci e di non arrenderci anche quando la stanchezza e il sacrificio ci pervadono.
Non siamo eroi, siamo professionisti, che come allora stiamo assolvendo con amore, devozione, sacrificio e paura ciò che siamo chiamati a fare: aiutare, assistere, curare, guarire e accompagnare alla morte. Presenti verso tutte quelle persone e le famiglie di cui ci facciamo carico. E’ ciò che abbiamo scelto di fare nella nostra vita ed il miglior riconoscimento lo leggiamo nello sguardo dei nostri pazienti. Per questo, SI’, il 25 Aprile rappresenta in parte una ricorrenza per noi infermieri presenti sul “campo” come allora.
Giorgia Palmari